mercoledì 30 giugno 2010

RAMACCA. La maggioranza approva Conto Consuntivo


Il Consiglio comunale di Ramacca, nel corso della seduta di ieri sera (29/06/2010), ha approvato a maggioranza il conto consuntivo 2009.  


L’opposizione incurante dell’importanza della seduta consigliare (la mancata approvazione del conto consuntivo avrebbe comportato il commissariamento dello stesso con gravissime conseguenze per fornitori e servizi) ha disertato l’aula.


Sull’argomento, i consiglieri comunali maggioranza sono stati invece concordi nel ritenere che, il consuntivo traccia la fotografia di una sana politica di programmazione della cosa pubblica e di una “politica da formichina” che ha permesso di uscire da un dissesto finanziario e di pensare a poter investire in opere pubbliche, tenuto conto di un momento storico in cui la logica di un federalismo fiscale in cui gli enti locali hanno sempre più competenze e ai comuni vengono, quindi, effettuati meno trasferimenti regionali e nazionali, con gravi difficoltà nel poter assicurare tutti i servizi necessari.  


Il Presidente del Consiglio dott. Andrea Gulizia ha presentato una proposta, votata all’unanimità dai presenti, per dar vita alla installazione di impianti fotovoltaici su tutti gli immobili di proprietà del Comune. Proposta, questa, che oltre ad avere un forte riscontro nella direzione della produzione di energia pulita, comporterà una interessante fonte di risparmio economico di risorse da reinvestire sul territorio. Infine un emendamento al Piano Triennale delle opere pubbliche, anch’esso votato all’unanimità, ha inserito la riqualificazione dell’area di Viale della Libertà, attraverso la riconversione del vecchio stadio comunale in centro sportivo polifunzionale.  


Il Sindaco Giannantonio Malgioglio si ritiene molto soddisfatto di questo risultato e “nonostante il dissesto che abbiamo trovato non appena insediati -ha dichiarato- ci siamo concentrati ed abbiamo diretto i nostri sforzi principali sul rispetto del patto di stabilità, riuscendoci. Ma pesa su di noi il forte taglio dei trasferimenti da parte del governo centrale. Abbiamo provato, riuscendoci in molti casi, a ridurre le spese. Ora tra i nostri impegni principali, presenti e futuri, figura la lotta all’evasione, in qualche caso totale, che potrà condurre a ragguardevoli entrate da poter investire a favore di  tutti i cittadini”.

sabato 26 giugno 2010

RAMACCA. Finanziati i lavori per un asilo comunale

Il Comune di Ramacca ha ottenuto un importante finanziamento. L'assessorato alla famiglia della regione siciliana, ha infatti emanato un decreto esecutivo per una spesa di 477mila euro inerente la costruzione di un asilo nido a Ramacca, fino ad oggi sprovvista di una scuola per la primissima infanzia. La nuova scuola verrà costruita con tecniche moderne, potrà ospiterà circa 40 bambini e sorgerà nel plesso dell'istituto comprensivo «Giovanni Verga» di Viale Libertà. Inoltre il progetto prevede l'individuazione di spazi esterni e di una cucina e sarà arredato con elementi ludici per la prima infanzia.  Il sindaco Gianni Antonio Malgiolgio ha espresso così la propria soddisfazione: «Ringrazio il personale e il responsabile dell'Utc, Angelo Lanzafame, per avere sostenuto questo importante progetto che tornerà utile sul piano sociale e beneficio dell'edilizia scolastica e grazie al quale finalmente doteremo il paese di un asilo nido che mai nessuno aveva considerato prioritario».

venerdì 25 giugno 2010

Alcune considerazioni sui generi musicali contemporanei

Il PUNK ROCK è un genere di musica rock diffusosi negli Stati Uniti a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. Il termine punk in slang americano indica una persona inetta, arrogante, cattiva. Noto prevalentemente come fenomeno musicale, il punk nacque come espressione di radicale dissenso dall’establishment sociale e come reazione ai modelli musicali allora imperanti. Agli inizi i giovani punk intendevano dichiarare, con formule estreme, la propria totale estraneità nei confronti delle forme di organizzazione ed espressione della società a loro contemporanea. I Sex Pistols, con il loro aspetto anticonformista e provocatorio (creste di capelli dai colori improbabili, abiti neri e trasandati, piercing sul volto e sul corpo) e l’atteggiamento aggressivo (linguaggio molto libero, violenza sul palco, uso di droghe) richiamarono subito l’attenzione della stampa. Altri gruppi britannici di rilievo furono The Clash (eterni antagonisti dei Sex Pistols), i cui testi rivelavano un più marcato impegno sociale e politico, e i Damned, band di grande teatralità. Il punk si sviluppò ed ebbe successo anche in paesi europei. Particolarmente vivace in Germania, soprattutto nella Berlino divisa dal Muro. Nel febbraio 1979 Sid Vicious, bassista dei Sex Pistols, morì per un’overdose di eroina e di lì a poco il gruppo si sciolse. Nel frattempo, i Clash iniziarono a occuparsi sempre meno nei loro pezzi dei problemi sociali delle città britanniche (che pure erano stati il loro cavallo di battaglia nei primi album), maturando uno stile più “convenzionale” e “omologato” e altri gruppi si trasformavano in una caricatura della tendenza.

L’ HEAVY METAL è invece un genere musicale contemporaneo derivato dal rock. In inglese il termine significa "metallo pesante" e il metallo a cui si fa riferimento è quello delle corde delle chitarre elettriche il cui suono viene pesantemente amplificato e distorto. Il metallo contraddistingue anche l'abbigliamento dei musicisti e dei loro fans: fibbie, borchie, anelli, bracciali, crocefissi. Prodotto della cultura anglosassone, oggi il genere non ha un'area geografica privilegiata.

Invece l’ HIP HOP è un movimento culturale giovanile afroamericano formatosi alla fine degli anni 70 nelle comunità dei ghetti neri di New York, in particolare nel quartiere di South Bronx. La cultura hip-hop in particolare diede visibilità artistica ma anche sociale alla comunità nera dei ghetti delle metropoli americane determinandone una vera e propria rappresentatività politica, negata invece nei mass media ufficiali. Elemento fondante dell’Hip-Hop è la musica RAP. Ulteriore manifestazione del fenomeno hip-hop è la Aerosol Art (graffitismo): l'intervento sui muri della città, sui treni o autobus con scritte e decorazioni eseguite con bombolette spray si pone come espressione diretta di una creatività che si sottrae alle mediazioni imposte dalle forme artistiche tradizionali. L’autore di graffiti (writer) traccia la propria firma (tag) in maniera ripetuta nel segno di una delimitazione territoriale.
La cultura hip-hop enfatizza nuove alleanze all’interno di diversi gruppi (crews o posse), ma anche la crescita di antagonismo tra un gruppo e l’altro, esplicitata spesso in competizioni artistiche.
Nel corso degli anni ‘80 iniziò una fase di deterioramento in senso commerciale per via della “globalizzazione dell’evento” e la sua commercializzazione selvaggia. Molti esponenti dell’hip-hop si sono piegati al modello consumistico voluto dalla società dominante. Solo pochi hanno continuato la propria attività politica nel segno di una orgogliosa ideologia nazionalistica nera. Inoltre l’ingresso del rap nel sistema produttivo dello show business ebbe notevoli conseguenze sia economiche che estetiche: le innovazioni stilistiche apportate al comune background hip-hop provenivano ora anche dalle musiche bianche più commerciali.  Anche  i “riti” del rap sono riconducibili a modalità poetiche ed espressive tipiche delle tradizioni africane e afroamericane. Ad esempio ne fanno parte antiche competizioni basate sul confronto diretto degli sfidanti, (come racconta il film “8Mile”) tematiche come l’autocelebrazione e l’irriverenza nei confronti dell’avversario, per certi versi simili ad alcune tradizioni folcloriche europee come quella degli stornellatori italiani.
Nel segno di una consistente affermazione commerciale sono state le produzioni italiane degli Articolo 31 e di Jovanotti, capaci di creare efficaci e orecchiabili commistioni tra musica leggera e rap.
Il progressivo affermarsi del rap è stato accompagnato da numerose polemiche: la brutalità e la durezza dei temi trattati dai rappers sono stati visti come una gratuita e pericolosa istigazione alla violenza. L’escalation di violenza toccò il culmine con gli omicidi dei rappers Tupac Shakur e Notorious B.I.G., nel ‘96 e nel ‘97.
Nel corso del tempo sono stai approntati nuovi incontri tra generi musicali, che fondono ad esempio hard-rock e rap (come i Run-DMC) o che danno vita a sorte di “RAP-METAL” (Limp Bizkit). 

Il REGGAE è un genere musicale di origine giamaicana sviluppatosi nel corso degli anni 60, frutto del clima culturale, politico e religioso affermatosi nell’isola caraibica in quel periodo. Il termine reggae (che potrebbe derivare da ragged, “stracciato”, termine con cui si indicava un ritmo di ballo popolare giamaicano) apparve per la prima volta nel 1968. Diversi dialetti musicali contribuirono a creare il comune background della musica reggae: il mento, sostenuto dall’innovativa carica sensuale del R&B, determinò poi la nascita dello SKA, che godette di una notevole popolarità.
Col fenomeno dell’emigrazione interna verso le città prese piede il RASTAFARIANISMO, ispirato dal filosofo nazionalista Marcus Garvey. Il credo rastafariano unisce le rivendicazioni politiche del popolo giamaicano all’autodeterminazione e all’indipendenza dal colonialismo inglese, con una sorta di universalismo religioso che vede nel ricongiungimento con la '"madre Africa" un ritorno alla terra promessa. Su questo background ideologico e religioso si sviluppò la musica reggae, che divenne voce delle realtà rastafariane.
Dal punto di vista strutturale, il reggae ha rallentato la ritmicità ossessiva dello ska. La nuova musica venne subito adottata dai disk-jockey giamaicani. Fu però Bob Marley l'artista reggae più prolifico. Divenne una vera e propria icona della musica reggae e del credo rastafariano. Marley, come Peter Tosh e altri musicisti giamaicani, divenne attraverso il reggae il portavoce delle lotte per i diritti civili e per l'emancipazione del suo popolo.
Tra i rastafariani, tendenzialmente pacifisti, è diffusa la consuetudine di fumare cannabis.

Altro genere che analizziamo è la cosiddetta “MUSICA ALTERNATIVA”. Il patrimonio musicale definito "alternativo" fa riferimento ad un genere di canzoni e brani musicali scritti e interpretati non al fine di realizzare prodotti “finti”, "di mercato", bensì finalizzati ad esprimere, interpretare e condividere l'evoluzione ideologica, la polemica politica, i valori sociali e morali, la ricerca storica e, ovviamente, anche le emozioni, i sentimenti e i sogni dei giovani appartenenti alle aree sociali, culturali e politiche italiane, mantenute altrimenti in stato di isolamento. Questo movimento musicale ha connotazioni culturali e storiche molto particolari che lo rendono unico ed esclusivo. Non si è mai chiuso in se stesso e, pur essendo l'espressione di una cultura non conforme, di una gioventù antagonista, di un’ "alternativa" ai consueti strumenti della propaganda, proprio per la sua tenace ricerca poetica e per il costante adeguamento ai nuovi linguaggi musicali, è andato configurandosi come un importante strumento di mediazione culturale e politico, un "ponte" ideale tra un'élite di ribelli al conformismo e il circostante mondo giovanile soggetto alla omologazione delle mode e degli altri generi musicali.
La "musica alternativa" si distingue già per la sua divulgazione fuori dai canali commerciali: nessuna realizzazione dei gruppi o solisti italiani viene venduta nei circuiti commerciali dei negozi musicali; né  è stata pubblicizzata attraverso radio o televisioni. Ma sono diffuse e conosciute (da ormai più di due generazioni) solo attraverso lo strumento tipico delle culture clandestine: il "passaparola". In pieno secolo di comunicazione globale siamo pertanto di fronte a un enorme, quanto misconosciuto, fenomeno di espressione artistica antagonista, "alternativa" appunto, che rompe gli schemi dell’ipocrita comunicazione del sistema.
Inoltre pur nelle differenti fasi storiche e politiche del Paese e nonostante le sempre nuove e diverse forme musicali adottate, in esse si raccontano le avventure, le battaglie, le sofferenze ma anche le aspirazioni, i sogni ed i valori di oltre due generazioni di militanti; mentre è sempre costante il richiamo alla riscoperta dei valori tradizionali e di temi storici totalmente dimenticati o occultati dalla “cultura ufficiale", imposta dai telegiornali, dalle mode e dalla società contemporanea.
La "musica alternativa" nasce in un periodo, gli anni 70, di grande fermento culturale, in particolare per la destra, che viveva una fase di gravissima oppressione fisica e di forte riduzione degli spazi sociali e politici. Un periodo drammatico, segnato anche dalla morte di molti giovani militanti e passato alla storia come “Anni di Piombo”. In quegli anni nascono anche le radio libere che contribuiscono a diffondere queste canzoni e a renderle, a volte, persino popolari. E' il caso di "Trama nera" degli Amici del Vento che diventa una canzoncina canticchiata nelle scuole anche da chi non era certo di destra, al punto da vincere un premio come "brano più ascoltato" di un'emittente siciliana  di sinistra. Nello stesso periodo con il moltiplicarsi dei gruppi e dei cantautori, si avvia anche la produzione ufficiale di musicassette, 45 giri e LP, sempre però diffusi informalmente nel corso di concerti o di campi musicali e poi quasi sempre "duplicati" e passati di mano in mano in migliaia di esemplari. I "Campi Hobbit" (1977, 1978, 1980) rappresentano altrettante tappe di crescita del movimento musicale "alternativo" sempre in cerca di una migliore qualità musicale.
Negli anni 90 nuovi gruppi e nuove tendenze musicali arricchiscono il panorama della "musica alternativa". Anche alcuni gruppi  "storici" non disdegnano l'uso del rock, mentre i gruppi più giovani esprimono nuove sperimentazioni musicali spesso d'avanguardia, persino sorte di SKA. Da qui l'uso, da parte di alcuni gruppi di area (non solo italiani), della nuova definizione di "ROCK IDENTITARIO" (o Nazionalista) al posto dell'ormai vecchia "musica alternativa".
Tra le nuove aree musicali “alternative” emerse in quest'ultimo decennio, una citazione a parte merita la cosiddetta "musica Oi!", una sorta di “Punk (metal) Alternativo”. che spesso, ma non solo, espressione dei gruppi musicali che si rifanno al movimento degli Skinheads. Sia skin di destra che skin comunisti (Sharp, Redskin). Si tratta evidentemente, anche in questo caso, di prodotti eseguiti e diffusi fuori dai consueti canali commerciali, ma il circuito "skin" in ogni suo aspetto: produzione, distribuzione, concerti e pubblico, è completamente differente da quello "alternativo".
Ogni anno sono almeno una dozzina le nuove produzioni e centinaia i concerti organizzati. Inoltre l'evoluzione culturale nazionale  sta portando anche a qualche forma di riconoscimento ufficiale. In questo senso il punto di svolta è stato indubbiamente il "Concerto del Ventennale", organizzato a Monza nel 1997, per festeggiare i vent'anni di attività di due gruppi storici: gli "Amici del Vento" e la "Compagnia dell'Anello". Quel grande concerto ebbe, infatti, per la prima volta, il patrocinio degli Assessorati alla Cultura, della Regione e del Comune. Oltre questi 2 gruppi, possiamo citare per quanto riguarda la musica alternativa un pionieristico Lucio Battisti, i vari cantautori Marcello De Angelis, Massimo Morsello, Francesco Mancinelli, Gabriele Marconi, gli ZPM, I 270 bis; per quanto riguarda invece il Rock Identitario: gli Aurora e i 270 Bis, DDT (Dodicesima Dispostizione Transitoria), LPG (La Peggio Gioventù), SottoFasciaSemplice (SFS), Hobbit, ZetaZeroALfa (a volte con alcune tendenze Ska), InSeDiA (Innato senso di allergia – anche loro con tendenze stile Ska), mentre tra i ma ggiori gruppi “Oi!” troviamo i Civico 88, Dente di Lupo, Malnatt, Gesta Bellica, ADL 122, Intolleranza, Janus, InSeDiA (Innato senso di allegria – anche loro con tendenze stile Ska), LPG, Ultima Frontiera, Dente di Lupo, Legittima Offesa, Malnatt, Sumbu Brothers, e gli Hate for Breakfast (che addirittura fanno Hardcore).
Di recente sono anche nate delle Radio On-line di musica alternativa e cultura “non conforme”: RadioAzione e Radio Bandiera Nera.
In ascesa anche la pratica del graffittismo (dal motto "Muri puliti, Popoli muti").

CONCLUSIONI
Abbiamo visto che almeno originariamente ogni genere musicale nasce all’interno di una precisa realtà e come espressione della cultura che quella realtà rappresenta. Praticamente tutti i generi però, salvo la musica alternativa, nel corso del tempo si sono piegati alla commercializzazione, diventando “false” perché semplici prodotti studiati a tavolino per imporre tematiche sterili e senza storia, mode o stili di vita, anziché comunicare qualcosa di realmente proprio, di importante come quei disagi sociali che caratterizzavano e nobilitavano il senso di ogni genere quando essi erano nati. Perché proprio per questo sono nati ed esistono. Altrimenti la differenza tra essi diventerebbe soltanto una questione di velocità e di soldi.Se si ascolta la musica senza subire condizionamenti dalle strategie di marketing e dalle vendite, sarà veramente improbabile preferire musicisti che oggi scalano le classifiche “ufficiali”. I fans della musica commerciale diranno che dipende tutto dai gusti personali. Mi permetto di non essere d'accordo. C'e' un fattore assoluto che conferisce una forma di supremazia alla musica alternativa: se vai a dire ad un fan di Morsello che Morsello era commerciale, rischi la vita. Provate invece a dire a un musicista commerciale che la sua musica è alternativa e quello ne sarà lusingato (probabilmente senza capire manco che esiste un genere musicale alternativo al di fuori dei consueti canali commerciali). I fans possono fare acquisti ipnotizzati dai media e dalla pubblicità, ma spesso anche loro, implicitamente, riconosceranno la supremazia della musica alternativa. In gran parte, la storia della musica commerciale è ormai solo una storia dei produttori. Serve a fare “prodotti”, non a trasmettere sentimenti o disagi autentici! La “star” spesso non si limita nemmeno a scrivere la melodia o le parole. Il resto dipende da quanto le etichette discografiche sono disposte a investire, tra studio di registrazione e musicisti, e dalle qualità del produttore (che, tra l'altro, dipendono sempre da quanto si è disposti a pagare). Il musicista di oggi è (spessissimo) il produttore. Tutte le sofisticazioni e la complessità del suono che vengono usate in un album, dipendono in gran parte dal produttore e dal budget dell'etichetta discografica. Questo trasforma la musica da un superbo strumento di espressione artistica, culturale e sociale ad un qualcosa privo di sentimenti che può permettersi solo chi ha soldi, potere o raccomandazioni, indipendentemente dalle capacità. Conta essere “commercializzabili” non bravi.Personalmente poi, preferisco di gran lunga la “musica alternativa” perché è il frutto della NOSTRA cultura. Il regge ad esempio rispecchia una cultura, una religione, un modo di essere che non sono nostri, mentre Alternativa, Rock Identitario e Oi si. Il Rap, il Punk e gli altri, aldilà dell’orecchiabilità, nascono a loro volta,  dall’esperienza di marginalizzazione della comunità nera e dalla rivendicazione di un ruolo politico, sociale ed artistico da parte di essa. Perché, tra una canzone che parla della vita dei neri del Bronx (perché giustamente lì è nata) e una che invece parla della vita o della storia del nostro Paese, delle nostre tradizioni e della nostra cultura, dovremmo preferire la prima? Dobbiamo rispettare il rap o il reggae perché portavoci delle lotte per i diritti civili e per l'emancipazione dei propri popoli. Così come dobbiamo rispettare e possiamo anche sostenere la lotta di questi popoli! Ma il nostro malessere sociale nasce da tematiche diverse e quindi ha prodotto il proprio bagaglio musicale e culturale ed è a questo che noi dobbiamo fare riferimento...non certo a quello degli altri. Anzi al contrario, visto che per esempio reggae e capelli rasta per i giamaicani è pure una questione più profonda, addirittura quasi religiosa, trovo irrispettoso nei loro confronti, appropriarsi del loro stile... addirittura solo per moda!

martedì 22 giugno 2010

Maturità, tema sulle foibe: plauso della Giovane Italia

Oggi è un gran giorno per l'Italia, per la scuola e non solo per una Comunità! La giornata di oggi non appartiene solo al presente, ma rimarrà nella storia!

Azione Giovani-Giovane Italia Calatino esprime massima soddisfazione per la decisione di inserire tra le tracce dei temi per l'esame di maturità 2010, l’argomento del genocidio delle foibe. È infatti la prima volta che viene trattato questo tema in un esame di maturità, a causa del colpevole e lungo silenzio calato su questa tragedia che colpì migliaia di italiani, vittime della pulizia etnica ad opera dei partigiani comunisti slavi.

Ricordiamo che Azione Studentesca, Azione Giovani e Azione Universitaria sono promotrici da anni sul territorio, in occasione della Giornata del Ricordo del 10 Febbraio, (istituita attraverso la legge n. 92 del 2004) di importanti iniziative consistenti nella distribuzione di materiale documentario cartaceo e video, mostre e conferenze presso tutte le scuole superiori di Catania e provincia, con il Comitato 10 febbraio, con l'obbiettivo di sensibilizzare ed informare gli studenti rispetto ad una pagina della nostra storia volutamente dimenticata ad opera degli storici ideologizzati ed alla passata omissione complice della scuola pubblica italiana.
Ci auguriamo che molti maturandi delle nostre città abbiano scelto la traccia dedicata alle Foibe avendo favorito delle moltissime iniziative passate che continueremo a proporre con maggiore intensità anche per il prossimo anno scolastico, contribuendo a rilanciare insieme ai tanti ragazzi che aderiscono ogni anno, le iniziative del comitato 10 febbraio in tutta la provincia etnea.

Azione Studentesca Calatino
Giovane Italia Calatino
Comitato 10 Febbraio 

lunedì 14 giugno 2010

«Qualcuno era di destra...»

(trascrizione integrale dell'intervento pronunciato sabato 11/06/2010 alla convention "Più unito il PdL, più forte l'Italia", Palazzo dei Congressi, Euro, Roma)

«E’ molto bello ritrovarci qui, oggi, soprattutto dopo il periodo che abbiamo attraversato. Questo convegno arriva dopo settimane di dibattito acceso, di confronto serrato, perfino di disorientamento in certi momenti. E ognuno è stato chiamato a operare delle scelte. Personalmente, resto convinta che chiunque abbia orientato la propria decisione nel senso della fedeltà alle proprie idee più che alle persone, per quanto care quelle persone possano essere, ha fatto la cosa giusta. 

Ora però occorre guardare avanti. Dobbiamo lavorare per dare sempre maggiore forza al Pdl e per affermare l’identità della quale siamo portatori, una identità che viene da lontano e che è un valore aggiunto per questo partito. E lo dobbiamo fare anche continuando a cercare sintesi tra posizioni diverse, a considerare il dibattito interno una risorsa irrinunciabile, ovviamente purché sia finalizzato a rafforzare e non a indebolire il partito. Ci sono, ci devono essere, i margini per ricostruire, per lavorare a un Pdl più unito e per questo più forte, e ciascuno di noi deve farsi parte diligente in questo senso. Il dibattito sulle intercettazioni è un segnale importante in questo senso. Ha ragione Maurizio Gasparri a dire che, cito, “siamo orgogliosi delle modifiche che abbiamo apportato anche con la discussione con la società civile, con le realtà del mondo delle professioni e all’interno della maggioranza, in un grande partito che sa confrontarsi e applicare al suo interno il metodo della democrazia”. Ha ragione Maurizio, e lo ringrazio, anche perché personalmente considero le modifiche migliorative del testo. 

E poi, dicevo, dare sempre maggiore forza e concretezza alla presenza delle nostre idee nel centrodestra. Ricordarci da dove veniamo, quali promesse abbiamo fatto. Può sembrare retorico, ma di fronte alle scelte difficili a me capita spesso di provare a guardarmi con gli occhi di quando ho cominciato a fare politica. Mi chiedo come mi giudicherebbe una ragazzina di 15 anni che, sulla scorta della rabbia per la strage che ha ucciso Paolo Borsellino ha appena bussato alla porta di una sezione del Movimento Sociale Italiano alla Garbatella. Perché so che quella ragazzina è il miglior giudice sul quale possa regolare la mia iniziativa politica. 

Naturalmente siamo tutti cresciuti, abbiamo fatto esperienza, imparato a conoscere i meccanismi, perfino le asprezze del gioco politico, ma io penso che non si debbano mai dimenticare le ragioni per le quali tutto è cominciato. Perché quelle ragioni sono la nostra identità profonda. Il motivo per il quale abbiamo scelto di rimboccarci le maniche, di metterci la faccia. Di stare da una certa parte del campo di gioco, e cioè a destra. 

Lo so che è un tema insidioso, quello della destra. Perché ha occupato molte delle argomentazioni usate a supporto delle diverse tesi in campo, ma per quanto mi riguarda, è il tema. Se ci ricordiamo perché abbiamo scelto di essere di destra allora sapremo sempre qual è il nostro ruolo e che cosa dobbiamo fare per onorare la nostra storia. 

E allora, parafrasando Giorgio Gaber, verrebbe da dire: 

Qualcuno era di destra perché voleva essere parte di un movimento popolare e interclassista, fatto di avvocati e contadini, di militari e artigiani, e non di congreghe di intellettuali, illuminati ma incapaci di leggere il quotidiano, con le sue miserie e le sue grandezze. E la grande sfida, anche nell’era della crisi economica, è ancora questa.
Qualcuno era di destra perché pensava che la sicurezza non fosse un capriccio piccolo borghese, ma un diritto di tutti e dei più deboli in particolare, e qualcuno era di destra perché si commuoveva di fronte a quei ragazzi in divisa che con il loro impegno coraggioso garantiscono ogni giorno, lontano da casa, libertà e sicurezza a popoli oppressi. E’ questa la nostra solidarietà, contro quella ipocrita di chi farebbe entrare in Italia tutti gli immigrati fregandosene di che vita li aspetta sul nostro territorio nazionale. L’abbiamo vista a Rosarno la solidarietà della sinistra. L’abbiamo vista bene.

Qualcuno era di destra perché credeva nella sacralità della vita. Non necessariamente un concetto religioso, o cattolico, ma il riconoscimento di qualcosa di cui noi non disponiamo a nostro piacimento. Qualcosa di più alto di un desiderio, di più grande di un diritto, di più naturale di un laboratorio. E per essere fedeli a questo principio noi continueremo a costruire una società nella quale non venga più considerato normale sperimentare su una vita umana per verificare la possibilità di curarne un’altra (solo perché la prima non può votare e la seconda si), oppure drogarsi per essere accettati, o piuttosto abortire nel modo più veloce possibile, magari da sole dentro casa grazie a non si sa bene quale pasticca miracolosa. E battersi contro queste menzogne non è oscurantismo, ma civiltà.

Qualcuno era di destra perché osava ribellarsi alla violenza culturale e talvolta fisica della sinistra italiana nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università. E oggi, in quelle stesse università, qualcuno è di destra perché vuole battersi contro lo strapotere dei baroni, garantendo regole utili all’affermazione del merito, per dare una possibilità in più di farcela a qualche giovane ricercatore senza santi in paradiso e una in meno di imbrogliare a qualche figlio, nipote o genero del potente di turno.

Qualcuno era di destra perché si ribellava a chi considerava normale, quando non giusto, ammazzare ragazzini di sedici anni a colpi di mitraglietta nel nome dell’antifascismo. Un presunto antifascismo reso sacro e intoccabile ancora trenta anni dopo la caduta del fascismo, solo per coprire la fuga di qualche terrorista all’estero o le colpe di un sistema politico corrotto. Per questo non smetteremo di chiedere giustizia per tutti i ragazzi vittime della violenza politica, e di lavorare perché le loro storie siano patrimonio condiviso del nostro popolo. E soprattutto per questo ci batteremo fino a quando assassini ripuliti del calibro di Achille Lollo e Cesare Battisti non salderanno il loro conto con l’Italia.

Qualcuno era di destra perché si emozionava a sventolare una bandiera tricolore quando farlo era considerato un gesto reazionario. Abbiamo lavorato tanto per restituire agli italiani l’orgoglio di essere tali, e non dobbiamo mollare adesso. 

Per questo vorrei che rispondessimo con fermezza alle provocazioni di chi abolirebbe la festa della Repubblica perché è troppo costosa o dice di preferire che le olimpiadi si tengano in India piuttosto che nella capitale d’Italia mentre Roma si fa in quattro per rendere credibile la propria candidatura. Perché chi è eletto dal popolo italiano ha il dovere di rispettare l’Italia.

Ma qualcuno era di destra anche perché, soprattutto perché, non sopportava la corruzione dei politici. Dovunque si annidasse. Perché rubare significa tradire la politica, la propria comunità. E’ tradire la patria e con essa tutti coloro che per lei hanno sacrificato qualcosa. E allora nessuna indulgenza con chi dovesse approfittare della militanza appassionata di tanti ragazzi, dell’empatia di Silvio Berlusconi con il popolo italiano, del suo consenso o del lavoro di ciascuno di noi per arricchire il proprio conto in banca a spese dell’Italia. Perché questa gente non c’entra niente con noi, rappresenta quello che abbiamo combattuto e che combatteremo sempre.

Per questo ribadisco la mia proposta di inserire nello statuto del Popolo della Libertà una norma che impedisca a chiunque sia stato condannato in via definitiva per reati di corruzione connessi all’esercizio del proprio mandato politico, di essere candidato in qualunque assise vita natural durante.
Ma la politica è solo una parte del problema, e neanche quella più significativa. Per questo credo che il ddl anticorruzione che arriva in Parlamento nelle prossime settimane rappresenti una grande occasione per colpire con forza anche la corruzione che si annida nella burocrazia, nelle procedure poco chiare, o nei piccoli potentati pubblici.

Qualcuno era di destra perché odiava la mafia e io voglio dire che sono fiera, estremamente fiera, di far parte del governo che nella storia della repubblica ha ottenuto i più grandi risultati nella lotta alla criminalità organizzata. Sono fiera di vedere le immagini di quei “sorci” tirati fuori dalle loro tane e consegnati alle patrie galere. 

Il segnale che mi piacerebbe uscisse da questa assemblea è che il Pdl non ha solo un grande presente, ma un grandioso futuro. E di questa speranza proprio i suoi giovani possono essere custodi e sentinelle. Ci sono due storie che possono raccontarlo meglio di me e di tanti altri che, un po’ ovunque, fanno i baluardi dell’antimafia attraverso i comunicati stampa.
Sono due giovani uomini del sud. Il primo si chiama Fabio Chiosi, ha 34 anni ed è il presidente del primo municipio di Napoli, zona Posillipo. Qualche giorno fa ha ricevuto questa lettera: “Con le tue denunce stai facendo incazzare un sacco di gente importante, gente che conta. Guai a te se continui a parlare con i carabinieri, ti facciamo passare un guaio. Sappiamo dove abiti e che strada fai. Sappiamo dove abitano tuo padre, tua madre, tua sorella con il bimbo piccolo”.
Fabio Chiosi con le sue denunce sta rivoltando il sistema marcio dei falsi invalidi, delle finte pensioni, e lo fa senza paura, senza le telecamere di Annozero, gli inviti da Fazio e la solidarietà dell’intellighenzia nostrana. E’ uno di noi.

Antonino Iannazzo, di anni ne ha 35, e fa il sindaco in Sicilia, a Corleone. Sulla home page del sito del comune ha pubblicato la foto dell’arresto di Bernardo Provenzano. Con una lettera, nella quale dice ai visitatori del sito che ha voluto quella foto tra le bellezze della città perché racconta di una Corleone diversa, libera dal peso della mafia, e perché – dice – sarebbe sciocco non guardare a viso aperto una parte della propria storia, “che è stata, che non è, e che non dovrà più essere”. E’ più coraggioso guardarla in faccia per schierarsi dalla parte giusta. E’ uno di noi.

In comune questi due giovani uomini hanno lo stesso partito, il Pdl, la stessa militanza giovanile, ma anche lo stesso coraggio. In comune hanno la fede in un’avventura politica che vuole difendere l’interesse del popolo italiano e riscattare una generazione alle prese con il periodo storico più difficile dal dopoguerra.
Ci sono tante ragazze e tanti ragazzi straordinari nel Popolo della Libertà, e noi dobbiamo saperli valorizzare. La nascita della Giovane Italia, organizzazione giovanile del Pdl, risponde a questa ambizione. E lo fa in un’epoca vigliacca sulla quale è bene chiarirsi. Io non voglio restare a guardare i giovani italiani consumarsi giorno dopo giorno in una vita di precarietà e paura. Non ci sto.

Abbiamo tutti la nostra parte di colpa in questo senso. Certo, maggiormente quelli che negli anni belli hanno consentito a persone di 40anni di andare in pensione distruggendo il sistema pensionistico per gli anni venire, o quelli che hanno speso anche i soldi nostri lasciandoci un bilancio devastato, o quelli che hanno deturpato il territorio con le speculazioni edilizie o quelli che sognavano la gioventù al potere ma solo fino a quando erano giovani loro. Ma una certa parte di colpa ce l’hanno pure quelli che, a destra come a sinistra, hanno inneggiato alla flessibilità come panacea di tutti i mali, capace di assicurare occupazione e salari talmente alti da giustificare il piccolo fastidio del passaggio da un lavoro all’altro.

La verità è che quel sogno è diventato un incubo. Lavoratori precari privi di qualunque tutela o potere contrattuale nei confronti del proprio datore di lavoro hanno trascinato al ribasso gli stipendi. Stipendi da fame che però non hanno impedito che si registrasse in Italia il più alto tasso di disoccupazione giovanile d’Europa. Dove per giovanile si intende gente che oggi ha 35 anni e domani ne avrà 45. Giovani spesso alla mercé di stage o praticantati retribuiti con pochi spiccioli e un bel calcio nel sedere al termine del periodo. Pronti per essere rimpiazzati da nuovi sbandati da sfruttare. Senza contare la questione previdenziale, dove al fatto che un giovane italiano non andrà in pensione nemmeno a 70 anni, altro che 40, si aggiungerà la beffa di un sistema contributivo destinato a restituirgli una pensione ridicola, che non gli restituisce neanche tutto quello che ha versato.

Il governo ha fatto tanto fin qui, ma serviranno riforme strutturali, e la Giovane Italia dovrà farsi carico di questa sfida. E se ci saranno piatti da rompere dentro casa nostra, si romperanno.

La Giovane Italia nei mesi che verranno dovrà nascere di nuovo. Non più la mera fusione di organigrammi, ma un movimento tellurico in grado di scuotere le fondamenta di un sistema ingiusto. Una presenza radicata, fisica e ideale, che dovrà ritagliarsi i propri spazi nel dibattito politico nazionale più che i posti nelle liste bloccate. Ma ho anche bisogno di sapere se a questa classe dirigente, a questa comunità, interessa ancora avere un movimento giovanile credibile, autorevole e in grado di autodeterminarsi. Perché costruirlo è una sfida che richiede compattezza, che possiamo vincere solo se la consideriamo parte fondante di quello che siamo.

Allora si saremo all’altezza di quei giovani che 150 anni fa si sono sacrificati rincorrendo il sogno di un’Italia unita, di una Patria che è la nostra Patria. Quella gioventù ribelle che fece l’Italia consegna oggi il suo testimone a una nuova generazione che dovrà fare gli italiani. Con la stessa rabbia, con la stessa energia visionaria, con la stessa determinazione che faceva dire a un preoccupato ufficiale borbonico nel suo rapporto a Francesco II: “Si è rivelata una tendenza nella gioventù ad una idea strana e mostruosa. Questa idea abbracciata dai più avventati si è quella dell’unificazione d’Italia”.

E’ questa idea “strana e mostruosa” di unità, dentro e fuori dal partito, a definire da che parte stiamo. Qualunque sia il nostro percorso politico, il territorio di provenienza, o l’incarico che ricopriamo. Unità intorno non a una persona, ma a un’idea. Un’idea che personalmente definisco di destra, ma che potrebbe chiamarsi in tanti altri modi in questo nuovo secolo, purché sia capace di contenere quel sistema di valori per cui ho iniziato la mia militanza politica.

Qualcuno era di destra per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione. Qualcuno era di destra perché ci credeva, e ci crede ancora» 
Giorgia Meloni

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"L'avvento dei giovani al potere contro lo spirito parlamentare, burocratico, accademico e pessimista...può dunque, e deve, osare temerariamente!"