IL ROGO
Arrivarono in tre la notte del 16 aprile 1973, avevano una tanica di benzina. Arrivarono alle case popolari di Primavalle, un appartamento del terzo piano, era la casa di Mario Mattei, esponente romano del MSI. Versarono la tanica e appiccarono il fuoco, in quella casa viveva una famiglia “fascista”, e in quanto tale, doveva morire. L’incendio divampò e distrusse rapidamente tutto l’appartamento. Annamaria, moglie di Mattei, riuscì a portare in salvo i due figli più piccoli Antonella di 9 anni e Giampaolo, di 3 anni, gettadosi giù. Lucia, di 15 anni, aiutata dal padre Mario si calò nel balconcino del secondo piano e da li si buttò sotto salvandosi assieme al padre. Silvia, 19 anni, si gettò dalla veranda della cucina e riportò incredibilmente solo qualche frattura.
Due dei figli non riuscirono a salvarsi. Virgilio, 22 anni, e il fratellino Stefano, 10 anni, morirono arsi vivi nel balcone di fronte alla folla che si era radunata sotto l’appartamento e assisteva impotente al lento spegnersi di Virgilio che sino all’ultimo tentava di proteggere con il suo corpo il fratellino più piccolo. Stefano si spense poco dopo, accasciandosi dopo che il fratello maggiore, che lo teneva stretto a se, perse le ultime forze.
LE INDAGINI
Le indagini seguirono piste che portarono ai movimenti extraparlamentari di sinistra, concentrandosi su esponenti di “Potere Operaio”. Il 18 aprile fu arrestato Achille Lollo come presunto responsabile. In seguito furono in tre ad essere rinviati a giudizio: Achille Lollo, Marino Clavo, Manlio Grillo.
Il processo di primo grado iniziò il 24 febbraio 1975, a quasi due anni dal rogo. Inizialmente l'accusa ipotizzata fu di strage e la pubblica accusa richiese la pena dell'ergastolo. Si concluse con l'assoluzione per insufficienza di prove degli imputati dalle accuse di incendio doloso e omicidio colposo. In secondo grado, Achille Lollo, Marino Clavo, Manlio Grillo, furono condannati a 18 anni di carcere per, ma per omicidio preterintenzionale e non per strage.
Achille Lollo, rilasciato in attesa di processo d'appello, fuggì in Brasile. Manlio Grillo si rifugiò invece in Nicaragua grazie alla complicità, di cui aveva goduto anche il Lollo, di Oreste Scalzone. Marino Clavo tuttora non risulta rintracciabile. La pena è stata dichiarata estinta dalla Corte di Appello di Roma per intervenuta prescrizione, su istanza dell’avvocato Francesco Romeo, difensore di Marino Clavo.
Nel 2005 ci sono state varie interviste che hanno portato a una riapertura dei fascicoli.
• il 10 febbraio il "Corriere della Sera" pubblicò un'intervista ad Achille Lollo in cui questi ammise la colpevolezza propria e degli altri due condannati insieme a lui, aggiungendo molti particolari.
Il maggior elemento di novità fu l'affermazione che a partecipare all'attentato furono in sei, i tre condannati più altri tre di cui Lollo fece i nomi: Paolo Gaeta, Diana Perrone e Elisabetta Lecco. Inoltre ammise di aver ricevuto aiuti dall'organizzazione per fuggire. Lollo tuttora vive in Brasile dove si è dichiarato rifugiato politico (status non riconosciuto dalle autorità locali).
• il 12 febbraio Oreste Scalzone, a quel tempo dirigente di Potere Operaio, rilasciò sul caso una intervista a RaiNews24 in cui dichiarò di aver aiutato due colpevoli a fuggire.
• il 13 febbraio Franco Piperno, all'epoca dei fatti Segretario nazionale di Potere Operaio, in una intervista su la Repubblica confermò anch'egli che il vertice di Potere Operaio fu informato di tutto, seppur solo dopo i l'avvenimento dei fatti.
• Il 17 febbraio anche Manlio Grillo ammise per la prima volta in una intervista pubblicata su La Repubblica, nelle modalità indicate nella sentenza di condanna, senza modifiche, la propria responsabilità. Ammise anche aiuti dall'organizzazione per fuggire.
Nell'ottobre del 2006 affermerà che la cellula terrorista di cui faceva parte era legata alle Brigate Rosse.
• Lanfranco Pace, a quel tempo dirigente di Potere Operaio a Roma, ha risposto anch'egli a domande in una intervista.
Tutti gli organizzatori, esecutori e comprimari della strage finora identificati sono a piede libero e taluni svolgono compiti di rilievo nell'informazione pubblica e della pubblicistica (Pace, Morucci, Piperno, Scalzone, Grillo); altri sono tuttora latitanti all'estero (Lollo); altri non sono rintracciabili (Clavo).
Stefano e Virgilio Mattei attendono ancora che venga fatta giustizia.
Arrivarono in tre la notte del 16 aprile 1973, avevano una tanica di benzina. Arrivarono alle case popolari di Primavalle, un appartamento del terzo piano, era la casa di Mario Mattei, esponente romano del MSI. Versarono la tanica e appiccarono il fuoco, in quella casa viveva una famiglia “fascista”, e in quanto tale, doveva morire. L’incendio divampò e distrusse rapidamente tutto l’appartamento. Annamaria, moglie di Mattei, riuscì a portare in salvo i due figli più piccoli Antonella di 9 anni e Giampaolo, di 3 anni, gettadosi giù. Lucia, di 15 anni, aiutata dal padre Mario si calò nel balconcino del secondo piano e da li si buttò sotto salvandosi assieme al padre. Silvia, 19 anni, si gettò dalla veranda della cucina e riportò incredibilmente solo qualche frattura.
Due dei figli non riuscirono a salvarsi. Virgilio, 22 anni, e il fratellino Stefano, 10 anni, morirono arsi vivi nel balcone di fronte alla folla che si era radunata sotto l’appartamento e assisteva impotente al lento spegnersi di Virgilio che sino all’ultimo tentava di proteggere con il suo corpo il fratellino più piccolo. Stefano si spense poco dopo, accasciandosi dopo che il fratello maggiore, che lo teneva stretto a se, perse le ultime forze.
LE INDAGINI
Le indagini seguirono piste che portarono ai movimenti extraparlamentari di sinistra, concentrandosi su esponenti di “Potere Operaio”. Il 18 aprile fu arrestato Achille Lollo come presunto responsabile. In seguito furono in tre ad essere rinviati a giudizio: Achille Lollo, Marino Clavo, Manlio Grillo.
Il processo di primo grado iniziò il 24 febbraio 1975, a quasi due anni dal rogo. Inizialmente l'accusa ipotizzata fu di strage e la pubblica accusa richiese la pena dell'ergastolo. Si concluse con l'assoluzione per insufficienza di prove degli imputati dalle accuse di incendio doloso e omicidio colposo. In secondo grado, Achille Lollo, Marino Clavo, Manlio Grillo, furono condannati a 18 anni di carcere per, ma per omicidio preterintenzionale e non per strage.
Achille Lollo, rilasciato in attesa di processo d'appello, fuggì in Brasile. Manlio Grillo si rifugiò invece in Nicaragua grazie alla complicità, di cui aveva goduto anche il Lollo, di Oreste Scalzone. Marino Clavo tuttora non risulta rintracciabile. La pena è stata dichiarata estinta dalla Corte di Appello di Roma per intervenuta prescrizione, su istanza dell’avvocato Francesco Romeo, difensore di Marino Clavo.
Nel 2005 ci sono state varie interviste che hanno portato a una riapertura dei fascicoli.
• il 10 febbraio il "Corriere della Sera" pubblicò un'intervista ad Achille Lollo in cui questi ammise la colpevolezza propria e degli altri due condannati insieme a lui, aggiungendo molti particolari.
Il maggior elemento di novità fu l'affermazione che a partecipare all'attentato furono in sei, i tre condannati più altri tre di cui Lollo fece i nomi: Paolo Gaeta, Diana Perrone e Elisabetta Lecco. Inoltre ammise di aver ricevuto aiuti dall'organizzazione per fuggire. Lollo tuttora vive in Brasile dove si è dichiarato rifugiato politico (status non riconosciuto dalle autorità locali).
• il 12 febbraio Oreste Scalzone, a quel tempo dirigente di Potere Operaio, rilasciò sul caso una intervista a RaiNews24 in cui dichiarò di aver aiutato due colpevoli a fuggire.
• il 13 febbraio Franco Piperno, all'epoca dei fatti Segretario nazionale di Potere Operaio, in una intervista su la Repubblica confermò anch'egli che il vertice di Potere Operaio fu informato di tutto, seppur solo dopo i l'avvenimento dei fatti.
• Il 17 febbraio anche Manlio Grillo ammise per la prima volta in una intervista pubblicata su La Repubblica, nelle modalità indicate nella sentenza di condanna, senza modifiche, la propria responsabilità. Ammise anche aiuti dall'organizzazione per fuggire.
Nell'ottobre del 2006 affermerà che la cellula terrorista di cui faceva parte era legata alle Brigate Rosse.
• Lanfranco Pace, a quel tempo dirigente di Potere Operaio a Roma, ha risposto anch'egli a domande in una intervista.
Tutti gli organizzatori, esecutori e comprimari della strage finora identificati sono a piede libero e taluni svolgono compiti di rilievo nell'informazione pubblica e della pubblicistica (Pace, Morucci, Piperno, Scalzone, Grillo); altri sono tuttora latitanti all'estero (Lollo); altri non sono rintracciabili (Clavo).
Stefano e Virgilio Mattei attendono ancora che venga fatta giustizia.
E Raimondo Vianello difese i giovani di Salò
MILANO - "Non rinnego ne' Salo', ne' Sanremo". Questo il titolo di un'intervista a Raimondo Vianello sul settimanale "Lo Stato" (oggi in edicola) diretto da Marcello Veneziani. Lo show - man parla del Festival di Sanremo, di televisione. Poi la domanda politica: "Che ne pensa del revisionismo storico di Fini sulla Repubblica di Salo' alla quale lei aderi'?". Replica Vianello: "I giovani che sono andati a Salo' erano spinti dall'idea di non abbandonare la battaglia. Anche se destinati a perdere, gia' la consapevolezza della sconfitta conferisce un forte dolore a quegli ideali. Per cui condannare in toto questo capitolo storico non mi sembra giusto. Si puo' dire che il fascismo e' stato un regime dittatoriale anche perche' imborghesendosi ha tradito le sue origini socialiste, mentre a Salo' si tento' di dare nuove norme sociali partendo gia' dal nome Repubblica sociale. Quei giovani dovrebbero essere piu' rispettati se non altro per i loro ideali ispiratori. Morti ce ne sono stati da tutte e due le parti, ma chi e' andato su, sapeva di finire male. Non va abiurato". Una parte di questa dichiarazione e' stata, ieri, anticipata dalle agenzie. E Vianello si stupisce. Al Corriere commenta: "Non mi pare di aver dichiarato nulla di sconvolgente. Ho voluto solo dire che molti giovani sono andati a Salo' in buona fede, solo per tener fede alla parola. Non per vincere la guerra, ma perche' avevano degli ideali. Per questo vanno rispettati. Cio' che invece va rinnegata e' l'esperienza di regime, la dittatura". "Del resto - conclude Vianello - perfino il Presidente della Camera Violante ha lanciato un messaggio di apertura e distensione verso la questione Salo'. Disse proprio: "Nella lacerazione fascismo - antifascismo deve restare l'identita' degli uni e degli altri, pero' gli eredi di entrambi devono avere oggi un atteggiamento reciproco molto rispettoso. Non bisogna usare la memoria vendicativa come arma contro i nemici di ieri o i loro eredi di oggi".
14 aprile 2004 - 14 aprile 2010
"Vi faccio vedere come muore un italiano" -
Per non dimenticare Fabrizio Quattrocchi
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